venerdì 29 Marzo 2024

Milano, una doccia pulita per tutti

Una doccia calda e un vestito pulito sono importantissimi per chi non ha una casa. La possibilità di lavarsi e cambiarsi garantisce, infatti, dignità.

Per questo, da sempre, la Casa della Carità offre alle persone senza dimora a Milano uno spazio docce, insieme a un servizio guardaroba. Il servizio è gestito da un gruppo di operatori insieme a volontarie e volontari, che cercano di offrire un’accoglienza calda e, per quanto possibile, un’aria di casa, instaurando relazioni durature, in modo che si possano seguire le persone anche oltre i loro bisogni primari.

Sul sito della stessa Casa della Carità, parlano Ciro Di Guida e Moussa Abdallah, rispettivamente responsabile e operatore del servizio, che raccontano chi sono oggi gli ospiti delle docce.

“Negli ultimi anni stiamo notando un cambiamento nelle persone che arrivano alle nostre docce, soprattutto dopo la riapertura post Covid: meno della metà sono ‘storici’ ospiti, cioè persone conosciute da tanto tempo, di età media superiore ai 40 anni, mentre sono in forte aumento i giovani stranieri, tra i 20 e i 40 anni, arrivati in Italia da poco tempo, soprattutto dai Paesi del Nord Africa”, afferma Ciro Di Guida.

Ad aumentare, raccontano i due operatori, sono anche le persone che arrivano dall’Africa sub sahariana (Gambia, Mali, Guinea, Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio) e i sudamericani, soprattutto da Perù ed Ecuador. “In questo caso si tratta di famiglie e donne incinte o con bambini”, precisa Moussa Abdallah.

Gli italiani che frequentano le docce sono circa il 10% del totale. In questo caso sono quasi esclusivamente uomini adulti, che hanno alle spalle storie di fallimenti familiari o lavorativi

La maggior parte delle persone che si rivolgono alle docce della Casa vivono in edifici dismessi che si trovano tra Crescenzago, Cascina Gobba e Lambrate.

“Sappiamo però che diverse persone hanno lasciato Milano per andare verso la provincia, perché gli edifici in cui vivevano sono stati sgomberati, per fare spazio a nuove costruzioni. Inoltre in città sta aumentando il controllo delle forze dell’ordine e i servizi di aiuto e accoglienza sono spesso saturi. Per questo molti provano ad andare fuori”, racconta ancora Moussa.

Altre persone vivono in case occupate o sovraffollate: “Non vediamo solo di ‘gente di strada’, ma ci sono anche persone che hanno un lavoro e una qualche forma di alloggio, seppur precario, ma che nel luogo in cui vivono non hanno la possibilità di lavarsi e cambiarsi”, aggiunge Ciro.

Oltre ad esprimere bisogni essenziali – lavarsi, vestirsi, mangiare – le persone che arrivano alle docce esprimono anche una domanda abitativa, lavorativa, sanitaria e di accesso ai diritti di cittadinanza. Spiega il responsabile del servizio: “Nella maggior parte dei casi le persone che arrivano devono ancora iniziare l’iter per chiedere il permesso di soggiorno e quindi non sanno dove andare né per trovare accoglienza né per fare i documenti. Oltre a offrire loro la doccia, li indirizziamo quindi al centro di ascolto o all’avvocato”.

“Devo dire però – aggiunge – che stiamo notando una fatica sempre maggiore ad accogliere le nostre proposte. Capita infatti che diamo loro un appuntamento con l’avvocato e non si presentano oppure proponiamo dei laboratori di arte terapia e cucina o il corso di italiano. Magari li frequentano per un po’ ma poi mollano, perché la loro priorità è lavorare e guadagnare”.

“L’aggancio è diventato più difficile, anche perché notiamo un uso sempre maggiore di alcol e sostanze”, dice ancora.

Spiega poi Moussa: “Vediamo che molte persone non si fidano molto di noi. Preferiscono affidarsi ai connazionali, che magari sono qui da più tempo, anche se questi li portano su strade sbagliate o spesso li sfruttano con lavori sottopagati”.

Nonostante le difficoltà, ci sono anche esiti positivi. Conclude Ciro: “È capitato che diverse persone siano state avviate a corsi di alfabetizzazione, percorsi di formazione o lavorativi. Dall’accesso alle docce può anche scaturire un progetto di accoglienza alla Casa della Carità. Non mancano poi le storie di riscatto: solo pochi giorni fa ho saputo che un ex ospite del servizio oggi ha una famiglia, una casa e lavora come mediatore culturale proprio per uno dei nostri progetti sul territorio”.

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