venerdì 29 Marzo 2024

Roccafranca e il suo castello

Se ne percepisce vagamente la mole originaria, indovinandola, fra le molteplici variazioni che, a differenza di quanto è avvenuto, invece, altrove, ne hanno radicalmente interessato l’intera complessità, mediante quelle molteplici trasformazioni che sono subentrate nel tempo, frazionandola in una differente soluzione.

Perdute, ormai, anche le due torri che ne guarnivano la proporzione apicale, come documentato da certe testimonianze fotografiche, proprie del genere disponibile fra le poche immagini visive d’un tempo, che risultano in grado di significarne la presenza, in una storica e fedele rappresentazione di pertinenza.

Il castello di Roccafranca, meglio inteso dai locali come rocca, è ombra irriconoscibile del suo più remoto passato, pure andando a tratteggiarne l’incombente persistenza di uno sbiadito ricordo, a sua volta, compromesso dallo spazio divaricato da secoli lontani, in parte raccolti da storiografiche fonti della memoria, entro le quali custodire una serie di significativi riferimenti sostanziali.

Ciò che resta di questa importante struttura difensiva, nella prossimità dei confini demarcati attraverso il vicino fluire del fiume Oglio, è nella solida contiguità di una compresenza con le caratteristiche espresse dal territorio, in quella naturale dislocazione che si pone a corrispondenza di campi coltivati e di spontanee macchie boschive schiacciate lungo il sinuoso letto fluviale.

La via di Roccafranca, quale arteria stradale da dove più si nota il volto antico di questo agglomerato architettonico “a macchia di leopardo” che, un tempo aveva, con ogni probabilità, quella uniformità funzionale a costituirne una omogenea profilazione di assortimento, è dedicata al fiume Oglio, tale e quale questa evocazione si profila, nella esplicitazione toponomastica vigente, mediante una tradizionale interazione fra la zona attigua e l’impronta di una comunità che, da sempre, è in simbiosi atavica con tale perenne caratterizzazione idrografica in scorrimento.

L’Oglio è a poca strada, fra i campi limitrofi dell’abitato, superata la frazione “San Rocco”, e situandosi non lontano da dove la rocca ha l’innesto stanziale di una evidente quota in altezza, rispetto alla circostante pianura.

Si tratta di una parte della Bassa Bresciana che è interessata al protendere di Roccafranca, fra Rudiano ed Orzinuovi, in una rosa di confini che, oltre alla bresciana sponda sinistra dell’Oglio, toccano, pure, tratti contigui con altre province, con Bergamo e Cremona, compartecipi di analoghi elementi costitutivi.

La rocca appare sotto assedio delle rispettive proprietà che la presidiano nelle loro specifiche titolarità.

Una ingente volumetria che si rivela, anche cercando di percorrerne la corsa scalare del perimetro, attorno alla quale sperimentarne l’estensione, nel fare il periplo fra case private, cancellate, mura e variazioni stilistiche dalle più disparate modalità di ispirazione.

C’è l’aquila dei Martinengo, in marmo sporgente, ad ombelico di un torrione, simbolo eloquente della casata che tanta storia ha avuto in zona, qui, tra l’altro, accasandosi in un’enclave vescovile, come, cioè antichi pronunciamenti imperiali avevano reputato di privilegiare il vescovo di Brescia con i diritti una esclusività diretta, quale fosse, tale investitura, una curiosa propaggine della curia del capoluogo bresciano, ad essa collegata oltre il salto di chilometri, tra le terre di ponente della diocesi stessa, in una significativa mappatura di privilegi signorili e di prerogative acquisite.

Roccafranca è nome che pare ispirarsi a questo aspetto, in quanto, prima di tale toponimo, si chiamava Garbagnato, e, come riferisce l’Enciclopedia Bresciana, “(…) il luogo sulla fine del secolo XIII prese il nome di Rocha francha, denominazione che si andò consolidando nel secolo successivo, per segnare l’affrancamento dalle tasse, essendosi costituito il feudo vescovile (…)”.

Analogamente alle sorti del castello, le alterne vicende di questa netta peculiarità di riferimento, rispetto, cioè, alle referenze esercitate in loco, hanno costituito i contorni delle più animate contese, per un travaso di potere, fino ai giorni, così lontani da allora, nei quali sembra irriconoscibile l’incombere della linea guerreggiata di questo contendersi di rivendicazioni, lanciate al controllo di beni e di possedimenti, nelle manifestazioni entro le quali, in tempi remoti, tali cronache risultavano inguaribilmente sospese, tanto da sembrare dinamiche ormai inghiottite dalla trasformazione stessa della rocca, dove paiono irreversibilmente imprigionate in fatue ambizioni sopite.

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