mercoledì 12 Novembre 2025

MantovaJazz, Swingin’ for Peace

Mantova – Swingin’ for Peace: se vogliamo la pace continuiamo a “swingare”: è questo lo slogan della 45° edizione di MantovaJazz.

Quattro appuntamenti con quattro maestri che del jazz hanno fatto un terreno di incontro con lo “swing del mondo”. Tre di questi sono pianisti, quasi a voler continuare l’opera di ricognizione che negli ultimi anni ha portato a Mantova maestri classici e nuovissimi come Carla Bley, Fred Hersch, Joey Alexander e Tigran Hamasyan.

Il cartellone 2025 del Chiozzini ruoterà intorno a quattro maestri che del jazz hanno fatto un terreno di incontro con lo “swing del mondo”. Tre di questi sono pianisti, quasi a voler continuare l’opera di ricognizione che negli ultimi anni ha portato a Mantova maestri classici e nuovissimi come Carla Bley, Fred Hersch, Joey Alexander e Tigran Hamasyan.

Due sono autentici campioni delle sensibilità latine del Centro-America, come il panamense Danilo Pérez (sabato 8 novembre) e il cubano Gonzalo Rubalcaba (mercoledì 12 novembre), il terzo è un musicista cosmopolita come l’israeliano Shai Maestro (sabato 22 novembre), la cui straordinaria qualità pianistica sarà pienamente percepibile anche in una masterclass pomeridiana con gli studenti del Conservatorio.

Il cartellone è completato dal formidabile contraltista afroamericano Immanuel Wilkins (domenica 2 novembre), che sta vivendo un momento artistico straordinariamente felice che lo vede come voce di punta della sempre imprescindibile scena del jazz di New York.

Il festival nasce nel 1981, grazie agli sforzi congiunti dell’Arci di Gilberto Venturini e al Circolo del Jazz di Mantova (negli Anni Cinquanta uno dei più sorprendentemente numerosi d’Italia), un po’ in sordina ma con idee tutto sommato abbastanza chiare: portare a Mantova, nei limiti imposti dal budget, una rappresentazione il più significativa possibile dello stato di salute del jazz e delle tendenze più rilevanti in atto.

Fatte salve le due “estremità poetiche”, già abbondantemente rappresentate da altri festival ad esse specificamente dedicati: da un lato quella della “sperimentazione spinta”, ospitata ad esempio dal festival di Pisa, dall’altro quella del rassicurante “ritorno all’ordine”, che in quegli anni aveva come campione un Wynton Marsalis che si poteva ascoltare un po’ dappertutto nelle grandi piazze.

Mantova Jazz parte, come si diceva, in sordina e con uno schema necessariamente elementare: la “segnalazione” di un musicista statunitense o europeo “non mainstream”, la cui sperimentazione avesse comunque chiari elementi di “leggibilità”, accanto a quella del musicista italiano che fosse più meritevole di l’attenzione (nella rassegna stampa si noteranno, nelle primissime edizioni, il duo Mengelberg-Bennink in cartellone con Pietro Tonolo, o Anthony Braxton in solo in cartellone con Gianluigi Trovesi, Massimo Urbani e Franco D’Andrea).

Di edizione in edizione il festival amplia sia budget che ambizioni, anche grazie alla sensibilità dell’assessore Sergio Cordibella, la cui recente scomparsa è stata avvertita da chi ha sempre lavorato al festival come un lutto del jazz mantovano.

A Mantova, aprendo al “mainstream d’autore”, arrivano musicisti sempre più visibili, come i “classici” Dexter Gordon, Johnny Griffin, Chet Baker, Dizzy Gillespie, Modern Jazz Quartet, Jim Hall, Tal Farlow, Barney Kessel, Betty Carter, Chick Corea, Gary Burton, Art Blakey, Art Farmer, Michel Petrucciani, Lee Konitz e moltissimi altri, accanto a sperimentatori di differenti generazioni, come Archie Shepp, Sun Ra, John Zorn, Jimmy Giuffre, Ralph Towner, Bill Frisell, Paul Motian, Tim Berne, Steve Coleman. C’è posto anche per gli europei come John Surman, Kenny Wheeler, Lol Coxhill, e per gli italiani più significativi, primo fra tutti Enrico Rava.

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