lunedì 29 Aprile 2024

Lavoro minorile, nel mondo coinvolti 160 milioni di bambini e adolescenti

Sono 160 milioni i bambini e adolescenti tra i 5 e 17 anni coinvolti nel lavoro minorile a livello globale secondo le stime che riguardano, in quasi la metà dei casi (79 milioni), un lavoro pericoloso con potenziali danni per la salute e lo sviluppo psicofisico e morale.

Nonostante la maggior parte degli Stati abbia ratificato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC, art. 32) e la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) n. 138 (1973), il lavoro minorile è un fenomeno ancora molto diffuso.

I progressi positivi nella riduzione del fenomeno compiuti tra il 2000 e il 2020 hanno dovuto fare i conti con i conflitti armati, l’impatto della pandemia Covid-19 e la crisi climatica, che hanno prodotto un aumento vertiginoso delle famiglie sfollate o precipitate nella povertà, costringendo altri milioni di bambini al lavoro minorile.

In Europa, in un solo anno, oltre 200.000 bambine, bambini e adolescenti in più sono stati spinti sull’orlo della povertà, portando nel 2021 il numero totale di minori a rischio povertà a oltre 19,6 milioni, 1 bambino su 4. In Italia, il numero dei minori in povertà assoluta ha raggiunto la cifra di 1 milione e 382 mila, il 12,1% delle famiglie con minori (762mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta, e una coppia con figli su 4 è a rischio povertà.

A pochi giorni dalla 22° Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile, che ricorre il 12 giugno e ha come focus quest’anno la giustizia sociale per tutti, Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro – rilancia l’allarme su questa grave violazione dei diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza che in Italia si stima riguardi 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni coinvolti in esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali.

Secondo le stime dell’ultimo rapporto nazionale diffuso dall’Organizzazione, Non è un gioco“, realizzato in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio, quasi 1 minore su 15 tra i 7 e i 15 anni, il 6,8% della popolazione totale in questa fascia d’età, svolge o ha svolto una attività lavorativa, una proporzione che sale a 1 minore su 5 se si considerano solo i 14-15enni. Tra questi ultimi, il 27,8% dei casi (circa 58mila adolescenti) riguarda lavori particolarmente dannosi per l’impatto sui percorsi educativi e il benessere psicofisico degli adolescenti coinvolti, essendo svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico, oppure in orari notturni o comunque percepiti da loro stessi come pericolosi.

Come evidenziato nel rapporto, i settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile nel nostro Paese sono quelli più tradizionali come la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%), ma non mancano le nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Sebbene il 70,1% dei 14-15enni che lavorano o hanno lavorato, lo abbiano fatto in periodi di vacanza o in giorni festivi, il lavoro è intenso da un punto di vista della frequenza: quando lavorano, più della metà dei 14-15enni lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana, circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.

“Per molti ragazzi e ragazze c’è una relazione stretta tra l’ingresso troppo precoce e prima dell’età consentita nel mondo del lavoro e l’abbandono scolastico. Un ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro che può limitare o compromettere le aspirazioni sul futuro e il percorso di formazione e sviluppo professionale verso l’età adulta” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

E se c’è una relazione tra la dispersione scolastica e il lavoro minorile, è bene sottolineare che in Italia il 12,7% dei giovani 18-24enni ha abbandonato scuola o formazione senza conseguire un diploma o una qualifica, contro una media europea del 9,7%, e tra i 15-29enni, una porzione ancora più ampia (19%) è fuori dal circuito educativo, formativo e del lavoro (i cosiddetti NEET), una percentuale seconda in negativo in Europa solo a quella della Romania.

“Se è vero che il lavoro minorile è l’altra faccia dell’abbandono scolastico, l’investimento sulla scuola e sulla qualità dell’istruzione è una risorsa primaria nel nostro Paese per prevenire questo fenomeno, e dobbiamo fare ogni sforzo per garantire il diritto all’istruzione. È necessaria, allo stesso tempo, una forte azione istituzionale coordinata e mirata sul lavoro minorile, che parta dal rilievo sistematico del fenomeno nei diversi territori e preveda misure concrete di prevenzione e contrasto.

Un’azione efficace non può poi prescindere da un intervento diretto nei singoli territori, e in particole in quelli maggiormente deprivati, che rafforzi le reti di monitoraggio, il sostegno ai percorsi educativi e formativi e il contrasto alla povertà economica ed educativa, con un’azione congiunta da parte delle istituzioni e degli attori sociali ed economici attivi sul territorio” ha aggiunto Raffaela Milano.

Save the Children Italia sottolinea concretamente la necessità che venga realizzata al più presto un’indagine sistematica e periodica sul lavoro minorile in Italia a cura dell’ISTAT, che comprenda anche il fenomeno ormai attuale del lavoro online. Chiede inoltre che i Comuni elaborino un Programma Operativo di prevenzione e contrasto del lavoro minorile e della dispersione scolastica con il coinvolgimento attivo di tutti gli attori del territorio e che si garantisca un sistema di presa in carico a livello territoriale dei minori infrasedicenni che lavorano e del loro nucleo familiare, per garantire un percorso di protezione dallo sfruttamento, reinserimento e riorientamento, assicurando anche la formazione del personale preposto all’identificazione e all’assistenza dei minorenni esposti al lavoro minorile.

L’Organizzazione chiede poi che sia promossa, all’interno dei percorsi di educazione civica a partire dalla scuola secondaria di I grado, la formazione di studenti e studentesse sui diritti e la legislazione che regolano il lavoro in Italia; che sia prestata particolare attenzione agli studenti in difficili condizioni economiche facendo in modo che siano chiari tutti i servizi e le opportunità messi a disposizione per garantire il diritto allo studio, dalle borse di studio agli sgravi fiscali; che si utilizzino i fondi del PNRR per lo sviluppo delle competenze trasversali e legate alla transizione digitale e green dei giovani, offrendo percorsi di qualità, prospettive di formazione e specializzazione in settori emergenti.

Nel mondo, nonostante la maggior parte degli Stati abbia ratificato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC, art. 32) e la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) n. 138 (1973), il lavoro minorile è ancora molto diffuso, troppo spesso sommerso e difficile da intercettare. Per questo motivo è fondamentale un impegno collettivo da parte di istituzioni, agenzie educative, servizi sociali, Terzo Settore e anche mondo profit, per prevenirlo e contrastarlo, a tutela dei diritti di bambine, bambini e adolescenti.

Nello specifico, imprese e aziende possono contribuire positivamente all’eliminazione del fenomeno adottando condotte più responsabili a sostegno della protezione dei diritti umani.

A questo proposito, si è registrato un passo avanti positivo a livello europeo: il Parlamento Europeo ha adottato, lo scorso 1 giugno, la sua posizione sulla proposta di direttiva europea relativa alla cosiddetta “due diligence” per integrare il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente nella governance delle imprese.

Secondo questa posizione, le imprese sono chiamate a identificare e, se necessario, prevenire, porre fine o mitigare, l’impatto negativo che le loro attività hanno su diritti umani e ambiente, come il lavoro minorile, la schiavitù, lo sfruttamento del lavoro, l’inquinamento e il degrado ambientale, e a monitorare e valutare l’impatto sui diritti umani e sull’ambiente dei loro partner della catena del valore, compresi i fornitori, la vendita, la distribuzione, il trasporto e altre aree.

La posizione sarà ora oggetto della negoziazione con la Commissione Europea e dei Paesi Membri, rispetto alla quale Save the Children- conclude la nota- richiama le parti alla necessità di garantire un avanzamento sui diritti specifici dei minori, compreso il loro accesso alla giustizia, e sull’obbiettivo di eradicare il lavoro minorile.

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