Mantova – Il racconto delle Metamorfosi di Ovidio attraversa le camere, le sale e le logge di Palazzo Te, dal caos delle origini alla dimensione temporale della storia, dalla übris dei mortali e le conseguenti punizioni da parte degli dèi, all’affermazione della loro supremazia sugli esseri umani.
Il percorso all’interno di Palazzo Te enuncia in apertura, attraverso i miti di Orfeo ed
Euridice, di Apollo e Marsia e di Apollo e Pan, la contrapposizione fra le divinità, gli esseri umani e semiumani nella polarità fra apollineo e dionisiaco, che si esprime in particolare nella musica a corda di Apollo e di Orfeo e nella musica a fiato di Pan, nella danza armoniosa delle Muse e delle Grazie e in quella sfrenata delle Menadi e dei Satiri.
Le metamorfosi, dunque, coinvolgono la vita degli esseri umani, ma anche degli animali e delle piante, fino ad arrivare a processi di ibridazioni, di deformazioni, di cambiamenti di status che trovano una grandiosa e spressione “nell’affresco cosmogonico” di Ovidio e di Apuleio che Giulio Romano mette in scena nelle pitture, negli stucchi, nelle decorazioni e nei linguaggi architettonici di Palazzo Te attraverso le sue metamorfosi in un mondo in continua trasformazione.
Da queste forme in incessante movimento prendono le mosse anche gli scrittori e gli artisti
contemporanei, che frequentemente attingono alle Metamorfosi di Ovidio per immergersi nel mondo della natura vegetale e animale in un sentire all’unisono, per esprimere, al massimo delle loro potenzialità, le sperimentazioni di dinamismi in mutamento.
È il caso di Dafne, che nella sua metamorfosi nella pianta dell’alloro sublima la violenza di Apollo, oppure di Siringa, che inseguita dal satiro si trasforma nelle canne che andranno a costruire la siringa di Pan, simbolo di armonia, ma anche di Arianna, che viene sublimata in una costellazione, o di Fetonte che sbalzato dal carro di Apollo per aver osato avvicinarsi troppo al sole precipita nel fiume Po, come racconta Ovidio.
Il lavoro di Penone sulla materia vivente è esemplare di questa filosofia della natura per trovare una certa assonanza con il processo artistico di Giulio Romano sulla trasformazione/deformazione delle forme architettoniche assimilabili alla natura: dalle colonne tortili ai triglifi slittati che nell’ibridazione con le forme della natura, ma anche con il mostruoso e il grottesco, esprimono una rottura dei canoni stilistici classici nelle architetture in continuo movimento, in quelle trasformazioni manieriste che trasmettono anche una certa instabilità e trovano espressione nel potente affresco della caduta dei Giganti.