mercoledì 24 Aprile 2024

Il Pitocchetto e il suo Ciclo Padernello

Padernello, Brescia. Le splendide sale del Castello di Padernello hanno ospitato i dipinti di Giacomo Ceruti, le tele dalla pennellata caravaggesca rappresentavano la vita e la quotidianità dei reietti, dei poveri o pitocchi, con una empatia artistica che ha valso al pittore del tardo Barocco italiano il soprannome di Pitocchetto.

La Fondazione Brescia Musei raccoglie in occasione Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura una serie di iniziative dedicate al Ceruti, tra cui la grande mostra “Miseria e Nobiltà” al museo cittadino di Santa Giulia.

Al Castello di Padernello è stato riprodotto il “Ciclo Padernello”, così nominato da Roberto Longhi, dell’artista Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto. Il ciclo di tele, ricostruito da stampe ad altissima definizione su tela, ad opera di Virginio Gilberti, permette al visitatore di ammirare le opere nel luogo in cui erano raccolte nell’Ottocento: la sala da ballo del Castello di Padernello.

Scrive delle opere di Padernello Sandro Guerini:

Il Ciclo Padernello o Ciclo di Padernello è stato così denominato dagli studiosi dell’arte italiana della prima metà del Novecento che lo ammirarono nel Castello di Padernello. È composto da quindici dipinti ad olio su tela, di misure abbastanza simili, raffiguranti vecchi mendicanti, portaroli, filatrici, orfane e nani in dimensioni quasi reali, sullo sfondo della campagna o in angoli chiassosi della città e costituisce la testimonianza più alta e completa dell’arte di Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto.

Foto Virginio Gilberti

L’artista, sicuramente da annoverare tra i più importanti maestri di tutti i tempi, ebbe fortuna come ritrattista, pittore di nature morte e pitocchi tra Veneto, Emilia e Lombardia a cavallo della metà del Settecento. Poi scivolò nell’oblio totale, fino a quando, nel 1930 Giuseppe Delogu scoprì nel Castello di Padernello l’affascinante e commovente quadreria di povertà ed umanità, messa insieme dal Conte Bernardo Salvadego che acquistò i dipinti all’asta della Collezione Fenaroli nel 1882.

Il Conte Salvadego, con profonda sensibilità umana che lo rese partecipe delle sofferenze di quegli emarginati e con invidiabile fiuto artistico che anticipò l’apprezzamento dei vertici della critica, non si lasciò influenzare nel valutare le opere dal prezzo abbastanza basso e volle aggiudicarsi la maggior parte dei ventidue quadri raffiguranti pitocchi, esitati in quell’occasione. Collocò poi quel suo trofeo di pittura, umanità e sentimenti sulle pareti spoglie della amata casa di campagna, disadorna e sguarnita in seguito alle divisioni dell’eredità.

…I quadri vissero così nelle sale del Castello per decenni nel monotono e tranquillo alternarsi dei rigidi inverni, quando la fossa diventa uno specchio di ghiaccio, e delle estati polverose ed assolate, quando il caldo toglie il respiro, affascinando la cerchia ristretta della famiglia e dei nobili ospiti. Ma subito dopo la segnalazione del Delogu la fama del Ciclo si dispiegò in Europa e raggiunse Parigi dove Vitale Bloch, in una conferenza al Museo del Louvre nel 1934 testimoniava l’assoluta grandezza del Pitocchetto: …Questo artista può essere considerato sullo stesso piano di Louis le Nain. Ma, da italiano, ha più “occhio”, è più incisivo,assoluto, voglio dire caravaggesco …

L’anno dopo i quindici quadri, allora divisi tra il Castello ed il Palazzo di città, grazie alla disponibilità del Conte Filippo Salvadego Molin Ugoni, venivano collocati nel Salone al primo piano del Palazzo della Loggia, dominando la Mostra su “La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento”, organizzata da Fausto Lechi, Alessandro Scrinzi ed Emma Calabi. Suscitarono così l’entusiasmo di Giuseppe Fiocco e, soprattutto, di Roberto Longhi che esclamò… e, subito dopo, ecco sorgere l’arte stupendamente paesana ed antica del gran Ceruti, il solo che, fra tanti,mostri d’essere finalmente più forte delle classificazioni del tempo, così da reggere al confronto con un moderno a distanza di più d’un secolo…

Fu la prima ed ultima volta che il Ciclo apparve nella sua interezza ad un vasto pubblico.

Note sull'autore

Valerio Gardoni
Valerio Gardoni
Giornalista, fotoreporter, inviato, nato a Orzinuovi, Brescia, oggi vive in un cascinale in riva al fiume Oglio. Guida fluviale, istruttore e formatore di canoa, alpinista, viaggia a piedi, in bicicletta, in canoa o kayak. Ha partecipato a molte spedizioni internazionali discendendo fiumi nei cinque continenti. La fotografia è il “suo” mezzo per cogliere la misteriosa essenza della vita. Collabora con Operazione Mato Grosso, Mountain Wilderness, Emergency, AAZ Zanskar.

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